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Ormai fare a pezzi la credibilità di quell'arcaico diritto alla protezione dei dati personali ('costituzionalizzato' nella Carta dei diritti dell'Unione Europea del 18 dicembre 2000) sembra essere uno degli sport preferiti dell'attuale politica legislativa italiana. Prima è arrivata la 'proroga della proroga della proroga' e oggi si leggono sui giornali le nuove inquietanti nomine dei Garanti per la protezione dei dati personali, i quali dovrebbero vigilare proprio sull'osservanza delle importanti norme di derivazione comunitaria (contenute nel D. Lgs. 196/2003, il cd. Codice della privacy) e diffondere i loro principi! Si passa da persone come Stefano Rodotà professore universitario che dal 1970 si occupa di diritto della riservatezza e la cui competenza è riconosciuta a livello internazionale, a Giuseppe Fortunato, avvocato di Napoli, già condannato proprio per violazione di norme inerenti alla riservatezza! Siamo arrivati al paradosso o, comunque, a situazioni kafkiane! Insomma il diritto alla riservatezza, l'insopprimibile esigenza all'inafferrabile oblio ( l'oblio è una forma di libertà, affermava candidamente K. Gibran non molti anni fa) non esiste più? Non interessa più a nessuno? E Rodotà era, forse, uno degli ultimi Don Chisciotte del nostro tempo a combattere contro i mulini a vento della Società dell'Informazione? Si fa, quindi, bene ogni giorno a rosicchiare selvaggiamente la credibilità di questo ineludibile diritto dell'individuo alla sua intimità? Occorre dire che lo stesso Rodotà qualche tempo fa riferiva assediati da controllori elettronici, spiati da occhi nascosti, videosorvegliati da telecamere invisibili. Rischiano di somigliare a uomini di vetro i cittadini dell'information society: una società che l'informatica e la telematica stanno rendendo completamente trasparente. Pertanto, è indubbio che oggi, a causa dell'evoluzione tecnologica e delle sue necessità e potenzialità, il cittadino sia diventato via via più trasparente e si parla, infatti, di 'sindrome da pesce rosso' per sottolineare come una delle particolari fobie dell'uomo digitale sia proprio il dover lasciare sempre una traccia del proprio cammino verso le autostrade dell'informazione. In effetti, occorre riferire che oggi quello che viene avvertito dalla nostra coscienza (e soprattutto dall'evoluzione giurisprudenziale e legislativa) come diritto alla privacy è qualcosa di completamente diverso rispetto a quel 'diritto a restare solo' (the right to be alone) di creazione della dottrina giuridica nordamericana: oggi nessuno si può più permettere di dire 'voglio restare solo e anonimo' e le esigenze di pressante e continuo controllo della nostra esistenza digitale si giustificano con la lotta al terrorismo (che impone un pervasivo controllo delle nostre comunicazioni) e con la stessa evoluzione della Società dell'Informazione (e, quindi, con i suoi interessi economici di necessaria 'profilazione' dell'individuo). Mentre ieri la tutela della privacy si scontrava con il diritto di cronaca e con le esigenze di tutela dell'intimità di 'personaggi famosi' dagli attacchi della stampa scandalistica, oggi la tutela del dato personale, digitalizzato, riguarda tutti. E mentre poco tempo fa, nel 'mondo reale', la dispersione dei propri dati personali favoriva indirettamente l'anonimato dell'uomo comune, o quanto meno una presenza discreta anche se sottoposta a possibili controlli e violazioni, oggi - tramite l'utilizzo delle nuove tecniche di raccolta ed elaborazione di notizie personali (realizzate attraverso gli strumenti elettronici) - sono cresciute a dismisura le possibilità di reperire, accumulare, trattare senza limitazione di tempo e di spazio informazioni di natura personale, le quali possono essere facilmente organizzate, combinate e incrociate in modo da creare perfetti profili personali, riguardanti gusti, preferenze, abitudini e comportamenti degli individui!



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